Una vita fa, quando da poco assunta in una multinazionale mi era stato proposto un viaggio in India per andare a conoscere alcuni clienti, non avevo esattamente fatto salti di gioia.
L’India non era tra le mie mete ambite e il mio massimo legame con la sua cultura era rappresentato dalle “intense” perle di saggezza di Osho scalfite come oracoli sulle bustine delle tisane limone e zenzero; acuti suggerimenti tipo, “Tu sei la verità”, “Agire, non reagire”, “Quando c’è l’amore non esistono domande”; insomma, citazioni da far rabbrividire i bigliettini dei Baci Perugina, e su cui poter poggiare il senso di un’intera giornata! Anche lo yoga, in cui adesso mi sto dilettando, non era ancora così diffuso (beh, detta così fa un po’ coscritta di Matusalemme, in realtà sono passati solo 9 anni!)
Comunque, da curiosa viaggiatrice, l’idea di poter scoprire un mondo così lontano e pressoché sconosciuto mi stimolava parecchio e ancora adesso, dopo anni, posso dire di non aver potuto sperare in compagni di viaggio migliori; mi sono ritrovata a far parte di un trio ottimamente assortito e quasi perfetto, seppur ognuno sfoderasse peculiarità diversissime e, uno dei componenti, una personalità al limite dell’incredibile.
La “compagnia delle Indie” era così composta:
Io, neoassunta communication manager da poco tornata in Italia dopo l’esperienza newyorkese;
Filippo, direttore commerciale, e, cosa non meno importante, mio capo diretto, ma soprattutto uno degli uomini più professionali e divertenti che abbia mai conosciuto;
Parikh, il nostro agente indiano che avremmo trovato in loco, la guida più dissoluta e buzzurra che la casta Vaishyas avrebbe potuto regalarci.
Così, dopo mille vaccinazioni contro qualunque tipo di malattia presente in tutto il continente asiatico, quindici ore di volo, nove di fuso e solo 2 di sonno, con gli occhi che imploravano pietà per non dover rimanere aperti, eccoci pronti ad affrontare ben 5 appuntamenti con altrettanti top clients nel giro di una giornata!
Beh, pronti lo erano forse Filippo (ormai businessman navigato) e Parikh; io non lo ero di certo e il mio unico obiettivo della giornata che mi ripetevo come un mantra era: RESTA SVEGLIA!
Ormai non era nemmeno questione di intervenire nelle riunioni (potevo contare sul fatto di essere nuova e di voler solo ascoltare), cercando di interpretare l’inglese “indiano” (che, non capendolo assolutamente, contribuiva solo a rendere più soporifero il clima).
Mi sembrava di non aver mai avuto così tanto sonno in tutta la mia vita e lì non esistevano caffè! Ogni volta che provavo a implorarne una tazza mi portavano una caraffa di tè e latte in polvere stranamente amalgamanti che mi veniva immediatamente sottratta da Parikh, che la utilizzava per “pucciare” dei biscotti, emettendo un verso inquietante, rumoroso e decisamente imbarazzante!
Il tutto dava vita a una sorta di incubo surreale: io che cercavo con tutta me stessa appellandomi a tutti i Santi del Paradiso di non dormire, perché, insomma, avere una collaboratrice che crolla miseramente sopita in una riunione non è il miglior biglietto da visita, e poi c’era già Parikh che con la sua “eleganza” faceva aleggiare nell’aria imbarazzo e incredulità … Due collaboratori con forti segni di disagio sarebbero stati troppo anche per Filippo!
Posso senza ombra di dubbio annoverare quel giorno come uno dei momenti più imbarazzanti e al contempo totalmente esilaranti della mia vita lavorativa. Almeno il riso isterico (che pure dovevo cercare di nascondere!), mi teneva sveglia!
Sono stati dieci giorni in cui sono stata catapultata in un mondo assolutamente diverso, per cultura, cibo, tradizioni e usanze!
Ho assistito a scene che credevo impensabili anche per un film di Franco e Ciccio, come quando Parikh a tavola si è tolto un dente che gli dondolava e dopo averlo messo in un calice da vino l’ha mostrato trionfante come se fosse un cimelio o una reliquia da condividere allegramente!
Ti chiedi come tu possa essere sopravvissuta a certe situazioni, in primis la guida dei tassisti indiani, o il tamponamento di una mucca che serafica stava attraversando la strada in città (mucca che deve essere stata senz’altro sacra per non aver accusato minimamente il colpo, limitandosi a scuotere la testa guardando il nostro driver con aria di infastidita sufficienza), e, soprattutto, l’essere uscita indenne dal bagno della casa di Gandhi a Mumbai. Proprio lì, in quel preciso momento, ho capito che se ne fossi uscita viva, mi sarei creata potentissimi anticorpi per il successivo lustro!
Ma uno dei momenti che rimarrà per sempre scolpito nella mia memoria è quella visita a un tempio indiano. Era un giorno di non ricordo quale festività e, liberatici di Parikh impegnato a ricongiungersi con la sua capsula dentaria, avevamo deciso di visitare un tempio.
Per loro la preghiera è davvero sentita e una delle usanze, anzi, un vero e proprio obbligo, è il togliersi le scarpe in segno di rispetto prima di entrare.
All’interno di quel tempio, un drone, dall’alto, avrebbe potuto immortale un’istantanea di centinaia di fedeli intenti alla preghiera o alla semplice visita, e in mezzo a quell’enorme gruppo di persone a piedi scalzi spiccavano due individui, due bipedi con dei calzini (fantasmini per l’esattezza!): io e Filippo, che avevo letteralmente obbligato a non toglierseli (vabbè, quando si dice la temerarietà!).
Quei calzini di Armani, che, se gliel’avessi detto prima, Filippo non avrebbe mai messo quel giorno, quei fantasmini bianchi cangianti che Filippo mi ha rimproverato per più di un anno di avergli rovinato, quei calzini che sono rimasti là e mai più tornati in Italia, hanno contribuito a rendere questo viaggio uno dei più belli, esilaranti e ricchi di emozioni di tutta la mia vita.