Un ottimo modo per iniziare l’anno o per concedersi una pausa dall’inverno è prendere un aereo e dirigersi verso sud … destinazione Zanzibar.
Quest’anno, sono addirittura riuscita a non imbottire la valigia come una pitta calabrese alla sagra del porcello, riempiendomi gli occhi d’orgoglio e soddisfazione nel leggere sul rullo del drop off 18 kg!
A volte, senza sapere quale combinazione astrale benedire, già nelle prime fasi del viaggio, si verificano aspetti insperati e decisamente piacevoli, come l’essere messe in business per la tratta d’andata (ma del resto, perché farsi troppe domande); così, dopo una pausa rifocillante nella lounge facendo il pieno delle notizie riportate da Vogue e Vanity Fair prima della pausa vacanziera e otto ore di volo, con il mio ahimè immancabile “nervoso nelle gambe” (solo chi ce l’ha può capire a cosa mi riferisca), eccoci finalmente a Zanzibar.
Appena sbarcati si viene invasi da una cappa d’umidità che sfiora il 90%, che però, arrivando dai – 2 gradi di Milano, non puoi far altro che apprezzare, e questa riconquista del caldo ti fa quasi apparire meno fastidioso il dover sborsare d’emblée 50 dollari per la tassa d’ingresso (consapevole di doverne poi sborsare quasi altrettanto per quella d’uscita).
Per la mia prima volta a Zanzibar decido di optare per Kiwengwa, nella zona est, soggetta sì al fenomeno delle maree, ma con una lunga spiaggia dove poter fare delle belle passeggiate. C’è chi detesta la vita da villaggio … beh, io non rientro esattamente in questa categoria; ecco, sono sicuramente quella che finge di dormire profondamente appena un animatore già in lontananza accenna a volersi avvicinare per proporre una partita a beach volley o balli di gruppo, però ammetto che concedermi ogni tanto quando vado in posti esotici un po’ di comodità e relax è un vizio che apprezzo sempre di più.
Quindi dopo quindici ore di viaggio complessivo, due di fuso e occhiaie da far concorrenza alla sposa cadavere, eccoci in villaggio per una rinfrescatina veloce, ma niente riposo, perché qui è già giorno, e dopo una colazione rifocillante (come se non mi fossi abbastanza nutrita nella business class per quasi otto ore filate), subito in spiaggia per godersi finalmente il mare e il sole (Il fatto di essere stata accolta da un acquazzone tropicale di due ore è solo un dettaglio!).
Ricordi che il motivo per cui hai scelto Kiwengwa è la lunga spiaggia dove passeggiare e decidi così di andare in esplorazione, in realtà un po’ titubante, perché sai che nel momento esatto in cui il tuo piedino oltrepasserà la linea di confine immaginaria del villaggio, verrai circondata da una serie di beach boys, masai e massaggiatrici, tutti animati da un’unica missione comune: venderti e proporti qualsiasi cosa: calamite, escursioni massaggi, portachiavi, braccialetti, borse o ciabattine.
Il primo giorno ti puoi quasi salvare grazie al colorito da cencio slavato e l’aria stralunata che ti hanno regalato il viaggio e l’inverno milanese; il color grigiastro, li convince senza nessun’ombra di dubbio che tu sia sul suolo zanzibarino solo da qualche ora e sui loro volti traspare addirittura un qualcosa simile alla compassione.
Ma dal secondo giorno, no, non avrai via di scampo: non importa di quanta energia e forza di volontà tu ti munirai, loro ne hanno più di te, hanno una capacità mnemonica e fisiognomica sorprendenti, tu cederai e in qualche passeggiata, un po’ per carineria, a volte per sfinimento, altre per una sana voglia di shopping, andrai a visitare le loro piccole boutique sulla spiaggia, spesso trovando oggetti deliziosi.
Quasi tutti parlano bene italiano ed è un’ottima occasione per farsi una chiacchierata scoprendo nuove culture e storie interessanti.
Conosci così Capitan Findus e Capitan Ciccio Bello che ti propongono escursioni in mezzo al mare, non puoi fare a meno di notare l’eleganza innata dei masai, sia nel portamento che nel rispetto dei loro costumi tipici, ammiri la dolcezza e la determinazione di “Mama Africa”, una ragazza graziosa e delicata, ma con una grinta da leone, che da sola, non si fa mettere i piedi in testa da nessun uomo delle vicine “boutique”.
Marco, un masai venuto come tanti sulla costa per la stagione, ti racconta come un paio di mesi prima abbia dovuto pagare una multa per non finire in prigione per aver bevuto una bottiglietta d’acqua sotto i 42 gradi cocenti durante il ramadan; ti spiega come anche lì, per le boutique arrangiate, ci sia il problema degli affitti alti e ti fa vedere il suo nuovo negozietto “Mondo Convenienza”, dove ovviamente compri un paio di parei (come se di tuo non ne avessi già in quantità sufficiente!). E passeggiando sulla lunga spiaggia ti ritrovi tra “boutique artigianali” semplici dai nomi più simpatici e disparati: passi così da “Mondo Convenienza”, a “Prada”, da “Valentino Rossi” al “Centro Arese”, da “Maremma Maiala” a “Zara” (ovviamente Zara Zanzibar)!
Dopo esserti riposata un paio di giorni facendo la cozza tra lettino, mare e ristorante, deliberi che è giunto il momento di dedicarti a qualche escursione; decidi di dare fiducia a capitan Ciccio Bello e andare con un piccolo gruppo a cavallo di un dhow, la loro tipica imbarcazione di legno a vedere la barriera corallina, le stelle marine e fare snorkeling: beh, da rimanere senza fiato! Le foto rendono decisamente di più delle parole, anche se l’impatto visivo è ancora più sorprendente: quello non lo si riesce proprio a fotografare!
Durante le gite con i beach boys, ammettiamolo, un po’ ci si sente ormai del luogo e anche se da buona turista sai solo dire Jambo, Pole Pole e Hakuna Matata, dopo aver imparato che “grazie mille” si dice Asante sana, senti già di possedere un nutrito vocabolario swahili.
Le escursioni da fare a Zanzibar sono tantissime e in una settimana è impossibile gustarsele tutte, quindi un po’ a malincuore decidi di rinunciare alla visita a Stone Town (passandoci solo di sfuggita) optando invece per Prison Island e l’atollo di Mnemba; da subito capisci di aver fatto un’ottima scelta, sia quando ammiri il panorama dalla meravigliosa isola delle tartarughe (ex prigione), sia quando ti mischi tra questi animali centenari per accarezzarli e farti scattare un sacco di foto (destino e condanna inesorabile di qualsiasi mio compagno di viaggio!)
Dopo aver fatto amicizia con le simpatiche testuggini si riparte per l’atollo di Mnemba: una lingua di sabbia bianca che la bassa marea scopre di giorno e per qualche ora regala uno scenario da vero e proprio paradiso terrestre: un’acqua trasparente e cristallina dove l’unica cosa che può porre fine al tuo sguazzare come una sirena è il profumino di pesce alla griglia appena cucinato con cui vieni deliziato durante l’escursione.
Quando credi che la giornata ti abbia regalato già abbastanza emozioni scopri invece che per la sera è prevista una festa in spiaggia con musica revival, dove non puoi esimerti dal non ballare fino all’ultima nota, (cosa che, Millennials spostatevi!).
Fiera delle tue doti danzanti, per salutare la serata, ti concedi un eccellente passion fruit mojito al Base, un adorabile localino sulla spiaggia gestito da dei ragazzi italiani che funge anche da scuola di Kite surf; (beh, visto la giornata intensa, l’abilità del barman, il tuo orgoglio ballerino te ne concedi due!) per poi svenire felice e addormentata nel letto qualche ora, prima di goderti il tuo ultimo giorno di relax prima della partenza.
Arrivederci Zanzibar, terra meravigliosa, e per questa bellissima vacanza non posso dirti altro che Asante Sana!